Review Tour dedicato a “Cronache Marziane” di Ray Bradbury


Cari Lettori, oggi mi piacerebbe raccontarvi di una bella rilettura che ho fatto grazie a Mondadori e che mi ha piacevolmente sorpresa.
In attesa del lancio della nella nuova edizione (per Oscar Moderni Cult), mi è stata proposta la rilettura di “Cronache marziane” di Ray Bradbury in occasione del Review Tour e, anche se spinta più da un sentimento nostalgico che da un vero e proprio interesse, ho subito accetto.


nel piattino abbiamo:

Cronache Marziane

Ray Bradbury
Edito da Mondadori
€ 13,00 cartaceo – € 7,99 ebook
amzn-amazon-stock-logolink diretto all’acquisto cartaceo
link diretto all’acquisto dell’ebook

TRAMA DELL’EDITORE
“Cronache marziane” (1950) è il resoconto della conquista e della colonizzazione di Marte tra il 1999 e il 2026: anno in cui lo scoppio di una guerra atomica richiama i terrestri sul proprio pianeta. Marte, pianeta antichissimo, resta nuovamente abbandonato. Sui suoi immensi mari di sabbia privi di vita passano i grandi velieri degli ultimi marziani, creature simili a fantasmi, ombre e larve di una civiltà che i terrestri, esseri ingombranti venuti da un mondo sordo e materialista, non hanno saputo vedere né comprendere.

UNA BELLA LETTURA

Lessi Bradbury e il suo «Fahrenheit 451» nel periodo del liceo come «lettura obbligatoria per le vacanze estive» e lo amai. Recuperai quasi subito una vecchia edizione di “Cronache Marziane” -tutto pur di evitare il secondo compito, ossia Pirandello (non giudicatemi, non siamo mai andati d’accodo)- ma ricordo che rimasi ben presto delusa. Mi sembrò lento, confuso e talvolta assurdo; nulla a che vedere con l’intensità e la curiosità del nostro primo incontro.

Non mi sono ricreduta grazie a questa rilettura, continuo infatti a pensare che sia un libro confuso e assurdo, ma questa volta mi è piaciuto e anche molto direi. Cos’è cambiato? L’ho semplicemente compreso.
Ho capito l’intento di Bradbury e non posso colpevolizzare la «me liceale» spensierata e leggera per non averlo fatto.

“Cronache Marziane” viene definito come un capolavoro della fantascienza. Una raccolta di ventotto racconti, scritta negli anni ’50, che ruota attorno al tema comune dell’esplorazione su Marte e delle sue conseguenze: i primi fallimenti, la conquista, la colonizzazione e, infine, il declino.
Tuttavia, come si legge anche dalla stupenda postfazione di Tristan Garcia, l’autore va oltre i confini del romanzo fantascientifico, epurandolo dalla componente strettamente scientifica e raccontando di quello che resta, ossia il «mito del dopo».

“Appena ti viene un’idea che cambia una qualche piccola parte del mondo, stai scrivendo fantascienza. È sempre l’arte del possibile, mai dell’impossibile”.

Terrestri e Marziani sono i protagonisti dei racconti, gli «sfidanti» della missione colonizzatrice e Marte è il loro campo di battaglia.
I primi terrestri giungono faticosamente sul pianeta rosso e vengono accolti nella totale indifferenza dai suoi abitanti. Alieni dai mille tentacoli e la testa allungata? Assolutamente no! I cosiddetti marziani infatti hanno le medesime fattezze degli umani e soprattutto pensano e parlano esattamente come loro.
Marte non è altro che il pianeta dell’umanità alternativa: l’aspetto, le movenze, il linguaggio e i sentimenti esistono, ma in maniera differente. Migliore? Forse solo all’apparenza. Con il passare degli anni, le missioni aumentano e i «nuovi marziani» si fanno portatori di nuove malattie quali i pregiudizi, gli impulsi, i desideri e le passioni fino ad allora sconosciuti al pianeta e ai suoi abitanti. Se i primi coloni, infatti, soccombono alla «malattia della solitudine» i loro successori si appropriano violentemente del pianeta e dei suoi abitanti, sino a distruggerli.
Da visitatori scomodi, quasi invisibili, a veri e propri distruttori.

I quattro viaggiatori restarono lì sotto choc. Infine il capitano disse: «Prima o poi troveremo qualcuno che ci dia ascolto!».
«Forse potremmo provare a ripartire e tornare dopo»
disse uno dell’equipaggio con voce cupa. «Forse dovremmo decollare e poi riatterrare. Dargli il tempo di organizzare una festa.»
«Non è una cattiva idea» mormorò esausto il capitano.

Il racconto che più ho amato è stato “E dolce cadrà la pioggia”, ambientato sulla Terra nell’Agosto del 2057, descrive la silenziosa e inesorabile distruzione di una casa abbandonata. Gli oggetti in essa contenuti, animati da uno spirito di sopravvivenza, hanno continuato a vivere la quotidianità di un tempo per cui la sveglia suona, il sistema di irrigazioni scatta, i fornelli si accendono e la saracinesca si alza.
Mentre la casa muore però, e la pioggia lava via ogni traccia di umanità, Marte soccombe agli uomini.

I «nuovi marziani» scegliendo, quasi come in un gioco, quale pianeta abitare fra i tanti ormai deserti si preoccupano di nascondere le proprie tracce ai «futuri uomini malvagi» perché, proprio come sottolinea Bradbury, l’uomo è bravissimo a replicare i propri errori e a distruggere tutto ciò di bello e grande esiste al mondo.

«Cos’è che stai fissando tanto intensamente, papà?»
«Stavo cercando la logica terrestre, il senso comune, il buon governo, la pace e la responsabilità.»
«E stanno lassù?»
«No. Non li ho trovati. Forse non esistono più. Forse non torneranno mai più. Forse ci siamo illusi che siano mai esistiti.»

Con una prosa evocativa e mai banale, l’autore denuncia la bramosia umana, il desiderio di conquista che crescendo sempre più diventa distruzione. La logica di un’umanità che preferisce portare il male anziché il bene, annientare anziché creare e conquistare pur di non convivere. Descrivendo l’infelice immaginario degli Stati Uniti degli anni Cinquanta, in realtà, l’autore non fa altro che analizzare l’intera società passata, presente e, chissà, forse e purtroppo anche futura.

Scordatevi però le prediche e i moralismi! Bradbury, infatti, non pretende di insegnare nulla a nessuno -lui stesso fa parte di questa colossale associazione a delinquere che è l’umanità- ma descrive, con ironia e a volte irriverenza, l’inganno dell’uomo e del destino che egli stesso si è costruito.

Un finale ingegnoso che fa pensare: i «nuovi marziani» avranno imparato dai loro predecessori a vivere nel rispetto del nuovo pianeta o replicheranno tutto? Di nuovo?

“La vita sulla Terra non si è mai configurata per produrre qualcosa di buono. La scienza era troppo avanti rispetto a noi, e c’è voluto poco perché gli uomini si sentissero smarriti in un infinito meccanizzato, come fossero dei bambini di fronte a tutte quelle cose incredibili, agli oggetti strani, agli elicotteri, ai razzi… Si appassiona-vano delle questioni sbagliate, davano valore alle macchine in sé e non a come usarle. Le guerre sono diventate sempre più devastanti e hanno finito per distruggere la Terra”.

p.s: una considerazione forse azzardata ma non ho potuto fare a meno di pensare a Benni finché leggevo (sono certa che anche voi, accanto all’amato Pirandello, avevate «Il bar sotto il mare»).
Io personalmente amo Benni, il suo stile, l’ironia acuta e l’eleganza. Se gli si chiedesse di scrivere di fantascienza, secondo me, è proprio così che lo farebbe: Margherita Dolcevita in missione «amore» sul pianeta rosso.

    • Bad Liar, Imagine Dragons