Recensione “Il canto dell’usignolo” di Lian Hearn

Buongiorno tazzine, eccomi tornata. Nuova settimana significa nuove letture, anche se questa volta, ahimè non troppo piacevoli.
Oggi, infatti, vi parlerò di “Il canto dell’usignolo. La saga degli Otori” di Lian Hearn. Ripubblicato, a dieci anni di distanza dalla prima edizione Mondadori, da edizioni e/o il romanzo rappresenta il primo volume di una trilogia comprensiva di: La leggenda di Otori, Il viaggio di Takeo e L’ultima luna.

nel piattino abbiamo:

Il canto dell’usignolo

Lian Hearn
Edito da Edizioni e/o (14 febbraio 2020)
Pagine 336
€ 14,00 cartaceo – € 11,99 ebook
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TRAMA DELL’EDITORE
In un Giappone medievale mitologico, il giovane Takeo cresce in seno a una comunità pacifica che condanna la violenza ma che sarà massacrata dagli uomini di Iida, il signore del clan dei Tohan. Takeo è salvato dal nobile Shigeru, del clan degli Otori, si troverà al centro delle lotte sanguinarie tra i signori della guerra e dovrà arrendersi al proprio destino. Ma chi è davvero Takeo? Contadino, nobile o assassino? Da dove arrivano i suoi prodigiosi poteri? In un mondo fuori dal tempo, dominato da codici d’onore e da rigidi rituali di una tradizione millenaria, Takeo incontrerà per la prima volta l’amore: dovrà forse scegliere tra quest’amore, la sua devozione al nobile Shigeru e il suo desiderio di vendetta? La sua ricerca lo condurrà fino alla fortezza di Inuyama, a camminare sul “pavimento dell’usignolo”. Ma quella notte l’usignolo canterà?

QUALCOSINA DI BUONO C’È… CHIAMIAMOLA UNA LETTURA “COSÌ COSÌ”

Definito dal The Times come il primo volume di «una delle saghe più avvincenti del nostro tempo», con Il Canto dell’usignolo mi aspettavo di conoscere un lato diverso del “paese del sol levante”, quello di un Giappone feudale intriso di battaglie e misteri. Purtroppo non posso dare a questa lettura più di tre tazzine -è stata una lettura veloce e a tratti noiosa- ma qualcosina di positivo c’è.
Innanzitutto, ho molto apprezzato l’attenzione della Hearn rispetto alla storia e alla civiltà orientale, i frequenti rimandi alla cultura samurai e ai suoi codici d’onore, infatti, mi hanno permesso di comprendere e apprezzare aspetti della tradizione giapponese che non conoscevo. Altro aspetto piacevole a mio avviso è la caratterizzazione del protagonista e, in particolare, la sua crescita -segnata dalla strage del suo popolo e della sua famiglia- che ci permette di seguire Tomasu (poi noto come Takeo) nel suo viaggio alla scoperta di sé stesso, delle sue abilità e soprattutto della sua inaspettata sete di vendetta.

Così, mentre una cascata rumoreggiava alla mia destra e la vetta incombeva a pochi passi da me, persi il mio nome, divenni un’altra persona unii il mio destino a quello degli Otori.

Degna di nota anche la scelta di alternare la narrazione fra due differenti punti di vista, quello di Takeo e quello della sua amata Kaede anche se, devo essere sincera, non apprezzandola ho faticato a finire i capitoli a lei dedicati.

Molti -troppi per me- tuttavia gli aspetti negativi. Primo fra tutti l’elemento romance della storia: risvolto sentimentale troppo banale e affrettato, sebbene credibile se si guarda al periodo storico e alla cultura di allora, il suo sviluppo mi è apparso falso e forzato. I due innamorati trascorreranno insieme brevi istanti di vita -fatti semplicemente di sguardi e qualche sillaba bisbigliata- come si giustifica questo folle amore?

Sullo sfondo, parallelamente, cresce in realtà un’ulteriore storia di amore -quella fra Shigeru e la nobile Maruyama– storia questa dai caratteri più adulti e maturi, ma che purtroppo viene trascurata per tutta la durata del libro e mai per questo sviluppata.

Aspetto che più fra tutti mi ha delusa però è la totale mancanza di colpi di scena. A mio parere non tutti i romanzi devono necessariamente farci sobbalzare sulla sedia, ma è anche vero che, se alla totale linearità della storia uniamo anche un pizzico di noia, l’estrema semplicità diventa, per me, un fortissimo elemento di sfavore.
Come prima accennato, non mi ha convinto la figura di Kaede, protagonista femminile della storia, ma ammetto di non nutrire un debole per le «donzella in difficoltà» (cit.Hercules).

Il sole sarebbe salito alto sopra le montagne, accorciando l’ombra dei cedri; poi sarebbe scomparso di nuovo dietro ai crinali. Così andava il mondo e così sarebbe sempre andato, mentre l’umanità cercava di sopravvivere sospesa tra luce e tenebre.

Riassumendo, la storia non mi ha totalmente convinto -lettura scorrevole ma un po’ lagnosa-. La base è ottima, anche storica (il richiamo al Castello Nijō da cui trae spunto il titolo ne è un esempio lampante), ma sviluppata frettolosamente e grossolanamente. Vero è che si tratta solo del primo libro di una trilogia. Che la scrittrice non intendesse solo introdurci al mondo Otori per poi sorprenderci nei prossimi volumi? Staremo a vedere. Voi cosa ne pensate?


«Surveillance» di George Ogilvie nelle cuffie e una tazza di tè matcha fra le mani.

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1 Comment
  • Rowenna
    25 Febbraio, 2020

    A me non è dispiaciuto, ho adorato Takeo e il suo amore platonico ma celatamente passionale. Il secondo è sullo stesso stile del primo per cui non ti aspettare qualcosa di diverso 😉

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