Intervista a Rebecca Domino
Oggi per la nostra rubrica una bevuta in compagnia abbiamo il piacere di ospitare Rebecca Domino.
>> QUI << trovate la recensione del suo libro “La mia amica ebrea”.
Intervista a Rebecca Domino A CURA DI STREGA DEL CREPUSCOLO
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Benvenuta nel salottino virtuale del blog delle tazzine Rebecca, accomodati pure. Gradisci un caffè o qualcos’altro?
- Parlami un po’ di te, quando è nata la tua passione per la scrittura?
- Quali sono i tuoi libri e autori preferiti?
- Veniamo al tuo libro, anche tu hai scelto di scrivere un romanzo storico, dove hai trovato i dati necessari per il tuo romanzo?
- Com’è nata l’idea per questo libro?
- Ho notato, leggendo sia il tuo libro che quello di tua sorella, che prediligete scrivere romanzi nei quali il fulcro centrale della storia è la famiglia. Come mai avete fatto questa scelta? Nei vostri nuovi romanzi avete adottato un “format” diverso?
- Mi parli della famiglia Faber e, in particolare, della protagonista: Josepha, detta Seffi?
- Josepha è una ragazzina come tante e ha un gruppo di amiche del cuore. Mi parli di loro?
- A movimentare la vita dei Faber ci penserà l’arrivo di una donna ebrea che chiede aiuto al padre della protagonista. Anche in altri romanzi (ad esempio il famoso la bambina che rubava libri) abbiamo degli ebrei che vengono nascosti da amici o conoscenti in soffitte o cantine. Visto che per il tuo romanzo ti sei documentata molto volevo chiederti: succedeva spesso?
- Josepha, dapprima restia a considerare gli ebrei come delle persone, (a causa della propaganda nazista) comincia a instaurare un rapporto d’amicizia con Rina. Mi parli del rapporto tra le due ragazzine?
- Le due ragazze comunicano tramite delle lettere, potresti raccontare ai nostri lettori, come hai narrato il loro rapporto epistolare?
- Josepha ama scrivere storie e racconti per Rina, quanto di te c’è nella protagonista?
- Josepha non ha un buon rapporto con il fratello maggiore, Ralf che, al contrario della sorella, segue ciecamente la propaganda nazista. Mi parli di lui?
- Devo dire che il finale mi ha molto sorpresa, ormai mi aspettavo un happy ending… Ci sono rimasta proprio male. Come mai hai optato per questo finale? Lo avevi progettato fin dall’inizio o hai cambiato idea mentre scrivevi il romanzo?
- Potresti scegliere, per i nostri lettori, una citazione dal tuo libro?
- Quali sono i tuoi progetti futuri?
No, grazie, sono a posto.
Sono nata con la passione per la scrittura. Quando ero alle scuole elementari, ho cominciato a buttar giù i primi, brevi racconti su [custom_frame_right][/custom_frame_right]dei vecchi quaderni e poi, man mano che crescevo, ho cominciato a sperimentare nuovi stili e ad allungare quello che scrivevo, sino a quando non sono arrivata ai primi romanzi. Durante alcuni periodi della mia vita ho messo in secondo piano la scrittura, ma poi questa è tornata con la stessa passione di un tempo e adesso non potrei mai rinunciarvi. Scrivendo – anche grazie all’autopubblicazione – posso far arrivare alle persone i messaggi che voglio, posso raccontare di quello che voglio, senza alcuna barriera… scrivo perché non potrei vivere senza e ormai so che lo farò sino a quando potrò.
Non ho degli autori che venero, ma la mia scrittrice preferita è Jane Austen. Il suo “Orgoglio e pregiudizio” è indubbiamente un capolavoro di stile e fine ironia; mi piace molto il modo della Austen di utilizzare le parole, pur narrando storie semplici è riuscita a dare alle vicende e ai personaggi un tocco personale.
Mi sono documentata principalmente su Internet, su siti stranieri. Quando la trama era solo una vaga idea, mi sono messa a cercare informazioni per scegliere una città in cui ambientare la storia, da lì avrei svolto ulteriori ricerche per capire meglio come funzionava la vita in quella determinata città, sia per gli “ariani” sia per gli ebrei. Mi sono imbattuta nella storia di una signora che abitava a Wandsbek, quartiere d’Amburgo, e che era una ragazzina durante la Seconda Guerra Mondiale quindi, oltre a raccontare del poco cibo e della paura delle bombe, raccontava anche che cosa faceva con le amiche, quali erano i passatempi dei giovani ecc… e poi raccontava pure cosa fecero lei e la sua famiglia quando Amburgo fu colpita dalla tragedia del luglio 1943. Nonostante non abbia preso spunto dalla sua testimonianza per quanto riguarda la vita di Josepha e degli altri dopo che Amburgo è stata colpita, la testimonianza di quella signora è stata d’importanza cruciale. Ho letto quante più testimonianze possibili sulla vita quotidiana degli “ariani” e su come venivano visti e trattati gli ebrei; mi sono documentata sulla propaganda nazista e su tutti i diritti persi dagli ebrei, su quello che hanno dovuto patire da quando Hitler e’ salito al potere; mi sono documentata sulla salita al potere di Hitler, per sapere tutto il possibile sul mondo in cui Josepha e’ nata e cresciuta. Ho letto testimonianze di tedeschi che hanno aiutato gli ebrei, come hanno fatto, dove li nascosero, quali rischi corsero, quali erano le punizioni più comuni per i tedeschi che venivano scoperti; ho cercato informazioni su quello che i tedeschi del tempo sapevano in merito ai campi di concentramento e ho letto una serie di testimonianze di persone che hanno visto e vissuto il terribile attacco su Amburgo del luglio 1943. Ho voluto fare una mescolanza fra Storia e storia personale, documentandomi il più possibile su tutto, dagli avvenimenti storici, ai libri che sono letti o citati nel romanzo, a piccolezze come le gonne cucite con la stoffa delle tende per l’oscuramento perché questa era gratuita… penso che, quando si scrive un romanzo storico, bisogna stare attenti a tutto, a ogni piccolo dettaglio. Non avrei mai voluto avere tante informazioni sugli avvenimenti storici e pochissime sulla vita quotidiana, anche perché Josepha ha quindici anni e, fino a quando non la riguardano da vicino, gli avvenimenti storici per lei sono più astratti e meno importanti di quelli piccoli e quotidiani.
Sono sempre stata interessata all’Olocausto per il semplice fatto che sembra incredibile che la cattiveria umana sia arrivata a tanto, ma, purtroppo, questa è la realtà. La domanda che mi ripetevo era: com’e’ possibile che un solo uomo, Hitler, abbia convinto una nazione intera a tacere di fronte a tali atrocità e a essere dalla sua parte? E poi mi sono chiesta che cosa volesse dire nascere e crescere nella Germania nazista non come un’ebrea, ma come una ragazza “ariana”. Questo è stato lo spunto per il mio romanzo; avevo già sentito storie di persone che hanno aiutato gli ebrei, come Oskar Schindler, ma volevo raccontare una storia di persone comuni, di una “famiglia normale” che ha aiutato “solo” una persona. Come ho accennato prima ho svolto numerose ricerche prima di scrivere il romanzo e sono rimasta stupita nello scoprire che i tedeschi che aiutavano gli ebrei, non solo venivano puniti con la violenza o la morte, ma potevano essere mandati a loro volta nei campi di concentramento. Quello era il prezzo da pagare per seguire la propria coscienza. Mi sono chiesta che cosa avrei fatto io, a quindici anni, se una notte una famiglia di ebrei avesse bussato alla porta della casa della mia famiglia. Non la quindicenne che sono stata davvero, nell’Italia di fine anni ’90, ma una quindicenne tedesca del 1943, cresciuta con la propaganda nazista, che vive con un fratello orgoglioso di appartenere alla Gioventù Hitleriana, circondata da libri, film e discorsi pro – Hitler, antisemiti che osannano la razza cui appartengo. Ecco com’e’ nata la storia.
Sì, sia nel mio romanzo “La mia amica ebrea” sia in quello di mia sorella Sofia, “Quando dal cielo cadevano le stelle”, il ruolo della famiglia è molto importante e penso che ciò sia normale data la giovane età delle protagoniste. Josepha ha quindici anni e abita ancora con i genitori e il fratello, pertanto è normale che durante lo svolgimento del romanzo il lettore conosca anche i caratteri, i punti di vista ecc degli altri componenti della famiglia Faber. Allo stesso modo penso che sia importante mostrarli perché Josepha sta facendo, più o meno inconsapevolmente, i primi passi verso l’eta’ adulta, il che significa anche ritrovarsi a discutere con i genitori, prendere delle posizioni e delle scelte e nella vita di Josepha tutto ciò viene ampliato dalla gravità delle prese di posizione e delle scelte in questione. Per quanto riguarda il mio nuovo romanzo e quello di mia sorella, posso parlare solo per il mio: dunque, s’intitola “Fino all’ultimo respiro” e racconta la storia dell’amicizia improvvisa fra Allyson Boyd, diciassettenne scozzese come tante, e la sua coetanea Coleen, malata da due anni e mezzo di leucemia. Il romanzo affronta il tema del cancro nell’adolescenza e anche qui la famiglia è molto importante perché, oltre a vedere come Allyson e Coleen reagiscono di fronte alla malattia, vediamo anche le reazioni dei genitori di Coleen e quelle dei genitori e del fratello maggiore di Allyson. Il romanzo è narrato in prima persona da Allyson, e ciò ci permette di scavare nella famiglia Boyd – una famiglia qualunque, che potrebbe essere la mia o la vostra -, e di scoprire che la malattia di Coleen – e, soprattutto, il suo coraggio e il suo amore per la vita – insegneranno molto non solo ad Allyson, ma cambieranno, più o meno lentamente, anche gli altri componenti della famiglia Boyd. Voglio anche dire che il romanzo e’ gratuito e che chiunque può richiederne una copia in digitale scrivendomi a rebeccaromanzo@yahoo.it.
Ho reso il romanzo leggibile gratuitamente perche’ voglio spronare i miei lettori a donare quello che possono a Teenage Cancer Trust, ente benefico britannico che dal 1990 si occupa in toto degli adolescenti con il cancro. Sul mio sito http://rebeccadominolibri.blogspot.it trovate maggiori informazioni al riguardo e il link alla mia pagina su Justgiving per l’eventuale donazione.
La famiglia Faber è una “famiglia normale”, ovvero con incomprensioni, slanci d’affetto, discussioni e via dicendo. Tutto ciò però è ampliato dal contesto storico e geografico in cui vivono i suoi componenti, ovvero la Germania del 1943. I Faber abitano ad Amburgo, nel quartiere di Wandsbek. Il padre, Jens, è tornato dalla guerra senza una gamba ed è un uomo introspettivo, d’indole buona, che aiuterà molto Josepha nella sua crescita personale. Egli però è perfettamente consapevole dei rischi che correrebbe – e che farebbe correre alla famiglia – se dicesse ad alta voce quello che pensa davvero, quindi sta zitto, però in famiglia tutti sanno che l’uomo non è propriamente d’accordo con i discorsi di Hitler e che fa parte del partito solo perché deve. La signora Faber, Sabine, è una donna che preferisce non prendere le decisioni, è una sorta di macchia sulla parete, che non vedi se non soffermi lo sguardo su quel punto; man mano che le cose cambiano, la signora Faber cambierà a sua volta, diventando più intraprendente per aiutare e proteggere i suoi figli. Ralf è il figlio maggiore, ha diciassette anni, è orgoglioso di appartenere alla Gioventu’ Hitleriana e appoggia completamente tutto quello che sente dire in giro, ovvero i discorsi di Hitler. Per questo, Ralf odia gli ebrei: sin da quando era piccolo, gli è stato insegnato ovunque che gli ebrei non valgono niente ed il ragazzo ci crede fermamente. La figlia minore, nonché protagonista del romanzo, è Josepha – detta Seffi – Faber. A quindici anni, Josepha non è più una bambina, non è ancora una donna e la sua crescita viene complicata dal dover abbandonare la fanciullezza durante un periodo storico tanto complesso; nonostante spesso Josepha non ricordi bene com’era la vita prima della guerra, cerca di andare avanti il più normalmente possibile, studiando dalla signorina Abt, giocando e parlando con le sue amiche di sempre, Anja, Jutte e Trudi dalle quali, però, si allontanerà lentamente. Josepha ha paura di crescere, non le interessano i ragazzi, le piace scrivere ed è molto introspettiva e riflessiva. Come il fratello, è cresciuta circondata dalla propaganda nazista cui crede perché deve, senza domandarsi se quei discorsi siano giusti. All’inizio del romanzo, Josepha odia gli ebrei perché “lo sanno tutti che sono il male” e sarà grazie alla sua amicizia con Rina e alle parole del padre che si renderà conto che gli ebrei sono persone come tutti gli altri, come “gli ariani”. Il suo rapporto con la madre ha degli alti e bassi mentre quello con il padre diventa sempre più profondo; suo fratello Ralf la considera poco più di niente, la sorella minore che non capisce le “idee geniali” di Hitler. Josepha è un personaggio frutto della politica nazista e a volte, mentre scrivevo il romanzo, sono rimasta stupida dalla freddezza usata dalla mia protagonista nei confronti degli ebrei e da certi paragoni che faceva, per esempio le riesce difficile chiamare Rina e i suoi famigliari per nome – li chiama semplicemente “gli ebrei” – perché proprio non riesce a considerarli persone degne di un nome e porta un esempio “i sassi sono semplicemente sassi, nessuno da’ loro dei nomi, perché dovremmo darli agli ebrei?”. Josepha è un personaggio in evoluzione che cambierà, si scoprirà durante il corso della storia e sarà plasmata non solo dalla convivenza forzata con la famiglia di ebrei e dai cambiamenti nella sua famiglia e nella sua cerchia di amiche ma anche dagli eventi storici realmente accaduti che, all’improvviso, colpirono Amburgo.
Sì, le amiche del cuore di Josepha – almeno all’inizio del romanzo – sono Anja, Jutte e Trudi. Naturalmente, tutte e tre le ragazzine sono “ariane”, come Josepha. Quando Josepha era più piccola e gli ebrei potevano ancora frequentare le scuole, la ragazza aveva delle compagne ebree ma poi queste “sono sparite nel niente” e da quando le cose si sono fatte ancora più serie – sia per gli ebrei sia per gli “ariani” che avevano a che fare con loro – Josepha sa che la cosa migliore è avere rapporti solo con gli “ariani”. Tutte e tre quindicenni come Josepha, ognuna delle tre ragazzine vive la guerra e il futuro in maniera diversa anche se tutte sono accomunate, come la protagonista stessa, dal voler vivere ogni esperienza e dal voler fare “tutto subito” perché potrebbe non esserci un domani. Questo è un comportamento che ho riscontrato in numerose testimonianze che ho letto di persone che hanno realmente vissuto la Seconda Guerra Mondiale e ho deciso d’inserirlo nel romanzo. Dunque, Anja è la “capetta” del gruppo, non vede l’ora di diventare donna e pensa quasi esclusivamente ai ragazzi; Jutte fa tutto quello che fa Anja e la pensa come lei, infatti stravede a sua volta per i ragazzi; Trudi è timidissima, tanto da essere l’unica ad andare in giro con la maschera antigas sempre sul viso mentre le altre se la portano semplicemente appresso. Queste sono le tre ragazzine che il lettore conosce all’inizio del romanzo, le tre ragazzine da cui – pagina dopo pagina – Josepha si sente sempre più distante, quando si rende conto che non può essere sincera con loro, non può dire loro di avere un’amica ebrea perché non si sente sicura del fatto che loro non andranno a riferirlo alla Gestapo; inoltre, si sente molto diversa soprattutto da Anja e Jutte che pensano solo ai ragazzi, ma sarà principalmente il modo in cui le sue amiche continuano a parlare degli ebrei a spingere Josepha ad allontanarsi emotivamente da loro. La guerra e gli orrori che sono realmente accaduti ad Amburgo, cambiano molto le tre ragazzine: Anja diventa donna in un batter d’occhio, ma non la donna che aspirava a diventare, bensì un’anziana in un corpo di ragazza, con gli occhi grandi dal dolore, incapace di piangere altre lacrime per quello che ha visto e vissuto. Della dolce, timida Trudi nessuno saprà più niente; una storia – una vita – spazzata via senza che sia importato al mondo, come purtroppo dev’essere successo a numerose persone durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. E Jutte sarà la prima del gruppetto a rispondere alla domanda che le quattro ragazzine si pongono tanto spesso: che cosa c’e’ dopo la morte?
Sì, prima di scrivere il romanzo mi sono documentata più che ho potuto per cercare di rimanere il più fedele possibile all’ambientazione storica, a cominciare da piccolezze come i vestiti, le tessere annonarie, il quartiere di Wandsbek (lessi nella testimonianza di una signora che lei viveva in una strada di Wandsbek che terminava in un boschetto; ed è lì che abitano i Faber) ecc agli avvenimenti storico-politici come l’Operazione Gomorra, che è un punto di svolta fondamentale nel romanzo. Diverse persone hanno aiutato degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, ma quello che mi ha colpita durante le ricerche era che tante di queste persone non erano ebree, ma neanche “ariane”. Naturalmente si tratta comunque di un gesto nobilissimo e quelle persone devono aver rischiato molto – forse addirittura la vita – per aver aiutato degli innocenti, ma i Faber sono “ariani”, sono i “nemici giurati” degli ebrei e questo rende il tutto doppiamente grave, pericoloso, segreto e al contempo altruista. Il padre di Seffi era un caro amico del padre di Rina e quindi decide di nascondere in soffitta i Binner, all’insaputa di Ralf. Come hai detto tu, l’arrivo dei Binner cambia radicalmente la vita di Josepha, dall’essere una ragazzina che dubitava in silenzio di quello che sentiva dire in giro, si ritrova coinvolta in prima persona in una realtà di sotterfugi e paure, costretta a convivere con gli ebrei che – anche se non saprebbe dire perché, se non “perché lo fanno tutti” – odia e la disgustano. Questa convivenza e la sua amicizia con Rina la porterà man mano a capire che gli ebrei sono persone come gli altri, come gli “ariani”.
La storia è ambientata in Germania e, se nei primi anni della salita al potere di Hitler le punizioni per i tedeschi che aiutavano gli ebrei erano piuttosto “leggere”, come l’essere picchiati, con il passare degli anni queste sono aumentate e nel 1943, anno in cui si svolge il romanzo, un tedesco scoperto ad aiutare un ebreo poteva essere mandato a sua volta in un campo di concentramento o poteva essere ucciso sul posto.
Queste informazioni mi hanno spinta ancor di più a voler raccontare questa storia, la storia di persone qualunque che hanno aiutato degli innocenti – che spesso neanche conoscevano per bene – pur sapendo i rischi cui loro e i loro cari sarebbero andati incontro. Li chiamano gli “eroi silenziosi”: circa 20.000 persone aiutarono gli ebrei durante il regime di Hitler su una popolazione complessiva della Germania di 7 milioni di persone. Penso che queste stime parlino da sole.
Sì, Josepha è cresciuta sotto la propaganda nazista. Hitler utilizzava un po’ tutti i mezzi (scuole, giornali, cinema, ecc…) per inculcare alle persone quello in cui credeva. Di conseguenza, Josepha ha sempre sentito parlar male degli ebrei e la situazione per gli ebrei è peggiorata con il passare degli anni, fino all’anno in cui è ambientato il romanzo, il 1943, in cui ormai gli ebrei hanno perso i loro diritti e le deportazioni sono all’ordine del giorno. All’inizio del romanzo Josepha è confusa, una confusione frutto sia dei suoi quindici anni sia di una mente che, in realtà, è predisposta a pensare per conto proprio, a scegliere autonomamente che cosa è giusto o sbagliato. Quindi, Josepha crede a quello che sente dire in giro ma non è una fanatica di Hitler come il fratello – infatti, a differenza sua, non fa parte della Gioventù Hitleriana – non saprebbe spiegare dei motivi razionali per cui gli ebrei rappresentano il male ma lo sanno tutti che è così e questo le basta e avanza. Quando suo padre decide di nascondere una donna ebrea con due figli (fra cui Rina) in soffitta, il mondo di Josepha cambia: Ralf è all’oscuro di tutto e Josepha e la madre devono occuparsi degli ebrei. Dapprima Josepha si avvicina raramente e sempre in gran fretta alla soffitta in cui si trovano gli ebrei, poi vi entra e scopre la paura, la paura che gli ebrei le facciano del male, la paura nel rendersi conto di cosa potrebbe succedere a lei e ai suoi cari se la Gestapo scoprisse che nascondono degli ebrei in casa. L’amicizia fra le due ragazzine nasce molto lentamente. Nonostante il romanzo sia raccontato in prima persona da Seffi, penso che sia facile per il lettore intuire i pensieri di Rina, pensieri che a volte la ragazzina non si sforza di nascondere. Rina è stufa di nascondersi nelle soffitte e dentro di sé non accetta di dover dipendere dalla famiglia Faber, anche perché sa benissimo che i Faber sono “ariani”, che Ralf li ucciderebbe sul posto se sapesse che si trovano in soffitta inoltre, anche se Josepha non le ha mai fatto niente di male, per lei rappresenta gli “ariani”, coloro che sono la causa di tutte le sofferenze che ha dovuto patire. Quindi, ognuna parte con dei preconcetti e dei pensieri sull’altra tutt’altro che lusinghieri ma quando Josepha si sentirà sempre più lontana dalle sue amiche Jutte, Anja e Trudi, quando Rina si renderà conto di essere ormai prigioniera della solitudine e che forse, solo forse, la giovane “ariana” che viene sempre più spesso a portar cibo e a scambiare due parole non è cattiva come quegli uomini che se ne vanno in giro per le strade a catturare gli ebrei, sarà proprio Rina a fare il primo passo, quello che darà il via alla nascita dell’amicizia fra le due ragazzine. Un’amicizia dapprima epistolare che, fra attese e incomprensioni, si trasformerà poi in un’amicizia faccia a faccia, anche se non certo alla luce del sole, e quando una tragedia colpirà Amburgo, l’amicizia fra le due ragazzine sarà messa a dura prova e al contempo sarà rafforzata, perché ormai Josepha e Rina sono legatissime e sono riuscite a superare i preconcetti, le paure e le barriere; entrambe sono cresciute e sono riuscite a guardare nel cuore e nell’anima dell’altra, a dispetto di cosa succede intorno a loro, a dispetto delle parole di Hitler, a dispetto delle “razze d’appartenenza”.
Sì, come ho accennato nella risposta precedente, all’inizio Josepha e Rina comunicano esclusivamente tramite lettere. L’idea nasce da Rina e, una volta in cui Josepha va a portare agli ebrei del cibo, come fa spesso, trova una busta per terra, sul pianerottolo di fronte alla soffitta. Le lettere sono scritte su fogli del quaderno di Josepha o su pagine strappate dai libri, come nel caso della prima missiva da parte di Rina: questa è particolarmente toccante perche’ le sue parole sono scritte su una pagina di un libro che spiega come gli ebrei abbiano rovinato la cultura tedesca, e che probabilmente apparteneva al fratello di Josepha. La corrispondenza facilita la nascita dell’amicizia, perché entrambe le ragazzine si sentono più a loro agio e liberano i propri pensieri quando scrivono mentre Josepha si chiede più di una volta come sarebbe parlare faccia a faccia con Rina, e teme che in tal caso non sarebbe così semplice parlarle così sinceramente. A un certo punto le lettere diventeranno più sporadiche ma restano comunque un punto centrale della loro amicizia.
Anch’io amo scrivere, come sapete. Ho diverse somiglianze con Josepha: fisicamente non sono bionda con gli occhi azzurri, anzi, sono la classica ragazza mediterranea, ma dal punto di vista del carattere mi ritrovo molto nella giovane protagonista del mio romanzo. Josepha è introspettiva, non le importa molto dei ragazzi, le piace ammirare le bellezze della natura e, nonostante all’inizio appaia come una ragazza fredda e pure un po’ cattiva, dentro di lei germoglia il seme dell’altruismo e alla fine si rivela pronta a sacrificare di tutto per le persone che ama. Per quanto riguarda la passione di Josepha per la scrittura, sì, ho preso spunto dalla mia passione: come mi succede a volte, anche Josepha “scrive i racconti nella propria mente” inoltre quando ero più giovane avevo proprio il suo problema, ovvero cambiavo idea ogni pochi giorni, con il risultato che alla fine non portavo a termine nessuno scritto. Josepha sogna di diventare una scrittrice o una maestra, e durante gli anni delle scuole medie mi sarebbe piaciuto diventare professoressa d’inglese. Insomma, ho diverse cose in comune con lei e ne sono contenta, perché è un personaggio che mi piace molto, per il modo in cui alla fine affronta la situazione e per come vive il suo percorso di crescita.
Ralf potrebbe sembrare un personaggio di contorno, perché non è presente in moltissime scene, ma non è affatto così. Il ragazzo ha quasi diciotto anni ed è un accanito sostenitore di Hitler, tanto da far parte della Gioventu’ Hitleriana; non crede a quello che sente dire in giro solo perché è quello che pensano tutti, ma ci crede perché ha scelto di essere d’accordo con i discorsi di Hitler, come purtroppo devono aver fatto tante persone nella Germania di quei tempi. Il suo rapporto con Josepha non è dei più idilliaci, lui la considera inferiore perché più piccola e femmina, inoltre pensa che lei sia stupida perché non capisce del tutto i numerosi libri che lui legge, che parlano del nazismo e di Hitler. Ralf minaccia spesso di denunciare il suo stesso padre se questo osasse esporre le proprie idee (che non combaciano con quelle di Hitler) a voce alta, e minaccia di denunciarlo anche quando il padre apre la porta della loro casa alla famiglia ebrea. Ralf è all’oscuro del fatto che la loro soffitta è diventata il nascondiglio di tre ebrei, tutti lo temono per gran parte del romanzo, inclusa Josepha, che teme che – se suo fratello scoprisse di Rina e dei suoi famigliari – denuncerebbe il loro padre e chiamerebbe la Gestapo. Nonostante questo, Ralf tiene alla sua famiglia e alla sua nazione, e lo dimostra quando, durante una grande tragedia che colpì Amburgo, il ragazzo non rimane con le mani in mano ma fa del suo meglio, anche a costo di rischiare la vita, per cercare di aiutare altre persone e di combattere contro le fiamme scatenate dai bombardamenti. Come tutti gli altri personaggi del romanzo, Ralf cresce e si evolve, si allontana dalla sua famiglia e durante le sue ultime scene stentiamo a credere che sia lo stesso ragazzotto fanatico di Hitler che brandiva la scopa come se fosse un’arma; alla fine, Ralf e’ un adulto di appena diciotto anni, un ragazzo che, nonostante la stima provata nei confronti di Hitler, si ritrova vittima della guerra esattamente come tutti gli altri, vittima del male portato proprio da colui che osanna.
Sì, quando ho cominciato a scrivere il romanzo avevo già chiaro il finale. Purtroppo penso che ci siano stati pochissimi happy ending per i tedeschi che hanno aiutato degli ebrei e per gli ebrei stessi e, dato che volevo scrivere un romanzo il più verosimile possibile, il finale non è affatto dei più allegri. Allo stesso tempo, ho preso spunto dalle testimonianze che ho letto di tedeschi che aiutarono gli ebrei, pertanto, nonostante la durezza di quello che succede, purtroppo penso che sia accaduto a piu’ di una persona di avere un “finale” del genere dalla propria vita.
Certo! Questa citazione è un estratto da una delle lettere che Rina scrive a Josepha:
Mi manchi molto.
Mi manca parlare con te: mi raccontavi il mondo là fuori, e la vita come la vedi tu. Eri i miei occhi, il mio sorriso.
Ti prego, continua a raccontarmela: raccontami quello che vivi, provi, vedi, sogni. Raccontamelo su questi pezzi di carta e immaginerò la tua voce.
Vai là fuori, Seffi, e vivi.
Vivi anche per me.
La tua amica,
Rina”
Sicuramente vorrò continuare a scrivere e in futuro pubblicherò altri romanzi, ma al momento non ho la minima idea di quale sarà il mio prossimo libro. Ora come ora non ho ne’ il tempo ne’ la testa per pensare a eventuali trame e per dedicarmi ad altri romanzi; sicuramente vorrò continuare a raccontare storie che facciano emozionare e riflettere. Inoltre, sono impegnata anche su un progetto che non ha niente a che vedere con la scrittura – non direttamente, almeno -, un progetto di cui non ho ancora parlato qua sul web ma che mi sta assorbendo molto e in cui credo moltissimo; quando tutto sarà pronto sicuramente lo saprete tutti, e capirete con che emozione voglio dedicarmi per un po’ anche a questo mio nuovo progetto.
Grazie mille per essere stata nostra ospite, spero che tu ti sia trovata bene sul nostro blog. In bocca al lupo per tutti i tuoi futuri progetti.
Certo, mi sono trovata benissimo e grazie a te per avermi ospitata! Crepi il lupo per tutti i progetti futuri e tanti in bocca al lupo anche a te per il tuo blog e per la vita in generale!